MIA MADRE

Attila Jozsef

 

La  poesia "Mia madre", è dedicata dal poeta alla madre che, come lui dice, muore giovane perché, per tutta la vita,ha fatto un mestiere durissimo, quello della lavandaia e si è piegata sotto il peso di enormi montagne di biancheria da lavare e stirare.

La famiglia vive in una casa povera, dove manca anche un pranzo decente e infatti la donna viene rappresentata mentre porta a casa gli avanzi della cena dei padroni.

Siamo agli inizi del secolo e dal brano è evidente la condizione del proletariato, costretto a lavori duri e pesanti,senza nessun tipo di assistenza.

La madre del poeta gracile e magra morirà infatti presto, a causa delle durissime condizioni di vita a cui è costretta.

Il poeta la ricorda con nostalgia perché l'ha vista morire giovane e nutre un certo rammarico per non averla potuta aiutare a realizzare neanche un piccolissimo e semplice desiderio: quello di possedere un grembiule pulito.

Il linguaggio del poeta è semplice ma efficace e lo scopo che vuole raggiungere è quello di denunciare le temibili condizioni di vita in cui si trova la classe popolare, di cui la madre è un doloroso esempio.

L'autore quindi è riuscito in queste brevi strofe a trasmetterci i suoi stati d'animo e a delineare anche un quadro dellacondizione femminile dei ceti inferiori del suo tempo.

Di Gregorio Orazio 2A

 

 

Una domenica sera mia madre è tornata

fra le mani recando due pentolini:

sorrideva in silenzio e s'è fermata

un po' nella penombra.

 

Nelle pentole c'erano gli avanzi

della cena dei nostri padroni:

anche a letto , dopo, io pensavo

che quelli ne mangiavano a pentole piene.

 

Mia madre, esile, scarna, è morta giovane:

le lavandaie muoiono presto.

Le gambe non reggono ai carichi,

fa male il capo dallo stirare.

 

Per montagne esse hanno biancheria da lavare:

il loro dilettoso ristoro sono le dense

nubi di vapore, e per cambiar d'aria

c'è la soffitta.

 

La rivedo, mia madre, con il ferro da stiro:

per stirare spezzò quel suo fragile corpo :

si fece sempre più striminzita

- pensateci, o proletari -

ed aggobbì per lavare.

 

Ed io non sapevo che ancora era giovane:

sognava d'avere un grembiale pulito

e che allora il postino la salutava.

                                                   (da Lirici ungheresi, trad. it. Di F. Tempesti, Vallecchi, Firenze)