VOLONTA DI FUGA
Biancamaria Frabotta
Questo racconto scritto da Biancamaria Frabotta è ambientato nella Roma dei giorni nostri.
La storia inizia con lincontro di un gruppo di amici , tre uomini e una ragazza , in una vecchia biblioteca , da dove , poco dopo , essi si allontaneranno per raggiungere un prato su cui poter parlare.
La protagonista è la ragazza che narra la vicenda e che si sente da una parte attratta da questi suoi amici intellettuali , dallaltra avverte che essi sono delle persone un po vuote .
Tra questi uomini viene messo in evidenza soprattutto Eugenio , forse il suo ragazzo , che è piuttosto sincero e tollerante.
Anche Eugenio , come gli altri amici , è attratto dalle donne belle e curate mentre la ragazza ritiene che le donne non debbono necessariamente avere queste caratteristiche. Il gruppetto degli uomini , nonostante si faccia cenno a qualche diverbio che , nel passato , si era trasformato in vero e proprio litigio, è attualmente piuttosto unito. Sul prato su cui si trovano, gli amici ingannano il tempo discutendo di libri e organizzando giochi intellettuali. Ad un certo punto, però, uno di loro mette in imbarazzo la ragazza e poi si allontana. Lei rimane quindi sola con Eugenio e fissa con lui un appuntamento in occasione del suo compleanno.
Il linguaggio scelto dallautrice è complesso, sia per quanto riguarda luso di certi termini, sia perché spesso si riferisce a concetti o fatti lontani dalla nostra esperienza di ragazzi, anche se la lettura mi è risultata piacevole.
Visti attraverso gli occhi della ragazza, questi uomini, che vorrebbero darsi unaria di persone intelligenti ed originali, vestendosi in modo ricercato e un po bizzarro e parlando di tutto senza impacci, si rivelano invece immaturi e dimostrano di avere molti tabù. Inoltre è molto interessante notare come lautrice riesca a mettere a fuoco un altro problema, cioè quello del rapporto tra questi uomini e le donne. Infatti essi accolgono la ragazza, intelligente e lolntana dai modelli femminili tradizionali, all'interno del loro gruppo, ma poi la umiliano e si capisce chiaramente che, per loro, le donne più attraenti sono quelle belle, magre e curate che si vedono nella pubblicità.
Sono scappata da casa lasciando Elvira che si prepara
al mio compleanno a modo suo, seduta sulla sua sedia a
dondolo, le spille fra i denti, l'ago appuntato sul petto,
studia controluce la qualità della stoffa appena comprata.
E convinta che il Gamelino sia per me un abito troppo
largo e anche tutti gli altri recessi in cui mi intestardisco a
seguire Eugenio con l'entusiasmo della neofita, le librerie,
le sedi dei giornali, l'anticamera degli editori, tutto fuori
misura, sbilenco; una pista sdrucciolevole, una aspra
turbolenza da maschi bizzarri. Sarebbe meglio accontentarsi
del sobrio due pezzi in tinta unita che mi sta
confezionando con la consueta rapidità delle sue dita
esperte. Sarà pure una vittoria di accettare il brandello
di emancipazione che questa società sembra disposta
e concedermi, ma è pur sempre un buon investimento,
un vantaggio ottenuto senza troppe penitenze, ne pegni e
potrebbe anche facilitare il buon mantenimento di un
corpo asciutto e disidratato, come quelli che vanno
adesso, senza inutili impacci e gonfiori.
Ma io corro via gridando che invece il sale della ,poesia
fissa i liquidi nei tessuti e fa salire la pressione arteriosa ed
è inutile cercare di tenerla a bada con quelle piccole
pilloline bianche che chiamano betabloccanti. Intanto lei
sale, sale, sale... Ho fretta di raggiungere la Biblioteca di
lettere. Stamane Eugenio al telefono è stato più sibillino
che mai; ha qualcosa di urgente da comunicarmi, ma non
vuole anticipare nulla. Parlerà, ma solo quando ci ritroveremo da
soli in mezzo , al buon odore di vecchio che
emana dai libri adagiati in fondo agli scaffali, incasellati
per sempre nelle loro nicchie polverose, ma disponibili
verso chiunque voglia fermarsi a verificarne il peso
specifico. Tra i libri del Gamelino nessuno mai pensa di dividere
sulla bilancia il passato e il futuro e un buon
sensale non è cosi che si comporta. Mica mischia le
pesate; gli salterebbero tutti i conti altrimenti.
A volte penso che Elvira ha ragione e che finirò per
scontare duramente il peccato di superbia che
mi impedisce di rispecchiarmi nei volti attenti e levigati degli
altri frequentatori di questo silenzioso porto sepolto e fermarmi
a imparare la legge con cui il presente dissoda l'orto
del passato, assorbirla con il dovuto senso critico
naturalmente e poi insegnarla a mia volta. In cambio la pace
dell'anima e un mensile fisso come il mestruo.
E la grazia delle Inimitabili, mi chiedo accomodandomi nella
mia solita poltroncina un po' defilata rispetto agli
altri banchi di studio? Della grazia, recita la dottrina
cattolica da cui pure sono stata nutrita, si può fare anche a
meno. Della grazia ma non delle opere, ribadirebbe
Elvira.
Eppure questa biblioteca pullula di ragazzi e ragazze
che fanno volentieri anche a meno delle opere, ne sono
sicura. Soprattutto quelle che stanno appena entrando
nella sala lettura ondeggiando come un piccolo branco
di cefali. Ogni tanto qualcuna di loro emerge a
galla spinta dall'impeto di una corrente calda e confidenziale,
accostando le teste, si scambiano trepidanti gli appunti, i
quaderni. Guardandole mi sento vecchia, diversa, e poi da
come si ravviano i capelli, dalla lacca rossa sulle unghie,
le calze tirate perfettamente e senza una sola smagliatura
capisco che appartengono a quel genere particolare che
Eugenio, con sornione distacco, definisce le donne-
donne. Portano tutte un brillante di fidanzamento all'anulare
sinistro e non ricambiano affatto la curiosità con
cui io cerco di cogliere quello che si confidano fra le brevi
risatine soffocate. Del resto negli abiti trasandati che, per
la disperazione di Elvira, indosso abitualmente non c'è
nulla che possa risvegliare l'attenzione di una donna-
donna. Sono vestiti usati i miei o presi a prestito come il
mio destino di apprendista stregone.
Le donne-donne dispongono sempre di corpi sottili,
tagliati apposta per tailleur che devono cadere a piombo,
svelti, attillati, perfetti. In confronto alle loro la mia gonna
sembra una tela di sacco e a giudicare dalle deformazioni
che vi ha lasciato chi lha indossata prima di
me doveva trattarsi di una sagoma sottoposta allurto di
repentini e inspiegabili sbalzi neurovegetativi. Come la
prosa sbilenca del mio segreto diario notturno che si
allarga e si contrae secondo il capriccio di un momenta-
neo umore. In ogni modo il gruppetto delle giovani
matricole mi ha quasi ipnotizzato; non riesco più a
distoglierne lo sguardo forse perché mi ricordano le amiche
delladolescenza, quelle più audaci, sorde ai divieti, impazienti
di crescere alla svelta e che già a dodici anni si vantavano di potermi
prestare i libri che mio padre mi proibiva di leggere. Chissà?
se avessi dato retta ai loro consigli, con quei libri proibiti,
forse sarei anchio cresciuta tutta d'un fiato, rigogliosa
come certe piante che non hanno bisogno di terra.
Ma le mie meditazioni sono interrotte dall'arrivo di
Eugenio. Sto per corrergli incontro quando con sorpresa
dietro di lui vedo entrare a braccetto Fausto e Beniamino.
Gli Inseparabili sono fatti così; ogni momento recitano la
cerimonia degli addii e poi, qua, di nuovo uniti e
inseparabili per la vita. Guai a cadere nella trappola delle
loro ricorrenti ostilità.
Fausto! . Che sorpresa. E da tanto che non ti si
vede.
Fausto poggia a terra l'astuccio del violino da cui non
si separa mai; ha la testa rapata a zero e gli occhi
febbricitanti.
- Narciso - sussurra accostandomi le labbra all'orecchio
- non è innamorato di se stesso, come tutti
credono. Soltanto scambia la propria immagine per una
creatura reale. Lo sapevi?
Annuisco senza capire una parola, più che altro
galvanizzata dall'unghia del mignolo di Fausto, lunghissima.
- E una sfumatura che conta visto che Narciso è il
sale della terra.
Dal momento che con l'unghia ha cominciato a
rimestarsi qualcosa nel fondo dell'orecchio sarà forse
questo il cucchiaino con cui si miscela il sale nella testa.
Nelle iridi nocciola di Beniamino stamattina brillano tanti
puntolini verdi che si accendono ancora di più quando
riesce a attirare Eugenio verso di se e gli cinge le spalle
con un braccio, per proteggerlo, per non lasciarselo
scappare, non so.
- Pare che Eugenio abbia una grande novità da
comunicarci.
-E quale?
-Andiamo in un posto tranquillo e vi dirò tutto.
- Andiamo al Gamelino.
-No. E troppo lontano; basterà stendersi su un
prato.
Varchiamo la soglia della biblioteca camminando sulle
punte e a me pare di scivolare verso la profumata mattina
di giugno come su un filo sottile ed elastico che, a far
silenzio, si può sentire anche vibrare. Chi è giovane a vita
non teme destino dell'equilibrista e il passo intento
e un po' ebete sul filo. Tanto anche se si cade ci si rialza
subito, no?.
La prima sosta è all'edicola. Il rivenditore ci conosce
bene e con indulgenza solo un po spazientita ci lascia
frugare nei quotidiani alla caccia della terza pagina e se li
spiegazziamo troppo si limita a opporre un silenzioso "e
allora? Si compra o non si compra?".
Ne approfitto per avvicinarmi a Fausto senza dare nellocchio.
- Posso chiederti una cosa?
Uhmm - mi risponde diffidente.
Gli Inseparabili della Sapienza, bisogna a questo
punto dire, non fanno altro che becchettarsi, rimbeccarsi,
avventarsi saltellando sulla stessa vaschetta di miglio, ma
se appena si tenta di separarli e di insinuarsi fra di loro
allora si affrettano a seppellire ogni dissenso e subito
rinasce l'unità fratricida degli intenti, la conformità di una
norma fraterna. E in questo totemico clan io non sono se
non l'ultima sorellina perduta fra le ruote minori del
carro che ci trasporta verso il futuro. La gioventù è un
duro fardello da sopportare ma saremmo pronti a vendere
l'anima al diavolo scongiurare la maturità.
Mi piacerebbe sapere chi è Lea.
- Chi? La donna di Beniamino?.
- Ah.
- Diciamo: la sua ex donna.
- Si sono lasciati?
- Ma. perchè ti interessano tanto le vicende amorose
di Beniamino?. Ne sei innamorata forse?. Ma non eri pazza
di Eugenio?
Anche Fausto andrebbe afferrato e tenuto a distanza
con le molle lunghe dell"imperturbabilità di Eugenio, ma
non di tutti i necessari strumenti dispone il
cantiere della mia navicella in allestimento. Non mi resta
che distrarlo riportandolo alla pienezza del suo essere.
- Fausto, perchè non ci dici dove abiti?. Potresti aver
bisogno di noi qualche volta.
Stai attenta. Potrei prenderti alla lettera, Io sai - e
intanto, mentre anch'io finta di schermirmi, mi
afferra alla vita e una fitta pioggerella di baci mi spruzza la
nuca scoperta. Sono invidiosa della libertà di movimenti
di cui Fausto sembra godere e che tanto mi ricordano le
puerili smorfie grottesche che io riuscivo almeno a sognare
prima che linsonnia mi privasse anche di questo
riconforto notturno.
Fausto è come le donne-donne che si rifanno il trucco
tutti i giorni; gli uomini non possono invece; qualche
volta tentano di rifarsi la faccia ma allora la maschera si
confonde alla pelle e tutto. precipita nel caos.
- Oh, io vivo sotto gli ippocastani di Tor di Quinto,
negli antri muscosi di Massenzio, tra i fori del Colosseo,
sulla cima degli obelischi della Farnesina, in fondo ai
tunnel della Stazione Termini...
- Tutti luoghi più che mai adatti alla vasta inoperosità
del gioco che tanto piace a Eugenio.
- Brava. Riconosco che metti a frutto rapidamente le
sue lezioni.
- Cosa credevi? Che volessi perdere il mio tempo
con te?
- Sei ingiusta. Fra noi le cose non andrebbero così
male. Quello che abbiamo fra le cosce non ci riguarda ;
vada in dentro o vada in fuori non cambia nulla e quindi
non ci resta che godere dell'acidula interscambiabilità dei
reciproci.
- E della grinta che tu apprezzi sulla faccia delle donne.
- Qualche volta anche la pena che mi costa. In ogni
modo voglio essere generoso con te: ecco un indizio
prezioso. - Allora?
Eugenio ha fatto infine la sua scelta e ci sta raggiungendo
stringendo al petto il suo pingue bottino di carta
stampata.
- Domanda di Lea a Costante. E poi fammi sapere.
- Ai tempi miei ci interrompe Beniamino che, un
passo dietro di noi ha forse afferrato l'ultimo lembo della
frase di Fausto - le ragazze bruciavano i reggiseni in
piazza. Un bel falò e poi, via, poppe al vento e tutta dritta
verso la meta.
E il suo modo di provocare Eugenio che per riattizzarsi
l'ardore in vena di affievolirsi si è messo anche lui a
sbirciar le gambe delle donne. Eugenio è contento stamattina
e neppure la presenza di Fausto, usualmente poco
gradita, riesce a turbarlo. La conosco bene quella pace che
fra loro fiorisce anche dagli insulti e che al Gamelino,
anche dopo le più aspre discussioni non li dissuade dal
gusto di ridacchiare e soffiare fra le grate al passaggio
cosce più svettanti e inguainate. Come se me ne
importasse qualcosa di quelle palombelle in calze di
nylon traforate che sgambettano sopra ai loro occhi
lucidi! La verità è che qualche volta mi piacerebbe
ammainare la vela e attraccare di sghimbescio sulla rena la
mia barchetta, ma, tant'è, nessuno può sottrarsi al suo
destino.
- Eugenio, ricordi? - grida Fausto oltrepassando la
verde vasca d'acqua, sovrastata dalla massiccia Minerva di
bronzo. - E tu Beniamino, almeno tu ricordi? Eugenio
arrossendo china il capo. E come potrebbe aver dimenticato?
Ai piedi di quella sgraziata matrona effigiante la
Sapienza, per la prima volta nella storia breve ma intensa
degli Inseparabili, Eugenio aveva perso la pazienza fino al
punto di farsi indurre alla lotta; una vera e propria
scazzottatura in piena regola. "Presuntuoso e stomachevole
signore della stipsi - lo aveva quell'infausto pomeriggio aggredito
Beniamino - hai mai letto Marx? ti sei
mai spaccato il cervello sull'interpretazione dei Grundrisse?
hai una pallida idea di cosa voglia dire alienazione,
reificazione, mineralizzazione delle coscienze?".
"E tu - rispondeva Eugenio asciugandosi il sudore
che gli imperlava gli angoli delle labbra ln uno sconosciuto di ira
- hai mai letto Cechov? sai cosa voglia
dire il vertiginoso senso del vuoto? il delirio dell'impotenza?
la tentazione del suicidio?"
Quando il pugno di Beniamino lo centrò alla mascella, Eugenio,
ricordo chiaramente, aveva socchiuso gli
occhi e inspirato profondamente quasi avesse voluto
offrire alla ingiuria del caso la. possibilità di bloccarsi in
quel punto, raggrinzirsi, invertire il suo sciagurato corso,
poi rotolarono entrambi sul selciato con una strana
violenta armonia (ricordo soprattutto le loro mani, mani
che mi apparvero improvvisamente capaci di ferire perfino
di uccidere se qualcuno le avesse liberate degli invisibili ceppi
che le imprigionavano) finche non furono costretti dal parapetto
della fermarsi riversi, affannati, la testa delluno abbandonata
sul petto dell'altro.
Ora è Fausto a rompere l'imbarazzato silenzio che lui
stesso ha provocato.
- Stanotte ho sognato le mie poesie. Erano come
eleganti gardenie bianche ma, stranamente, galleggiavano
sul ciglio di una pozzanghera fangosa.
- Io invece - Io interrompe Beniamino che ha
cominciato a prepararsi un sigarino più pepato degli altri
dal momento che siamo riusciti a scovare, fra le siepi di
ginepro, un riparo ombroso e protetto dagli sguardi
indiscreti. Sparpaglia minuzzoli di erba in mezzo al
tabacco e lecca attentamente la cartina. - Io invece ho
sognato il mio funerale. Mi avevano preparato una bellissima
tomba nuova di zecca e sulla lapide si leggeva
chiaramente il nome, il cognome, la data nascita e poi,
distintamente, in lettere capitali: "Ma non si rassegna!".
- A cosa? - chiedo incantata dai rapidi guizzi della
lingua di Beniamino che confeziona lo spinello; da bambina
adoravo cacciar fuori la lingua in uno sfrontato
slancio di rifiuto, ma l'occhio fulmlneo di Elvira riusciva
in anticipo a far rientrare ogni sporgenza, a bloccare sul
nascere la forma stessa movimento irriguardoso.
Mentre Eugenio tira fuori dalla borsa le lattine di birra
E i panini acquistati alla cooperativa Primo Maggio
Arrischiò una considerazione igienista.
- Secondo me fa bene raccontarsi i sogni.
Già. E come recitare le preghiere a voce alta -
aggiunge Fausto carezzando i petali del fiore bianco che
porta sempre sua striminzita giacchetti-
na. - Vi piace la mia gardenia? L'ho rubata stanotte dai
giardini del Rettorato.
Eugenio si aggiusta gli occhiali sul naso macchinalmente;
oggi è proprio un gran giorno se accetta perfino di
tirare una boccata dal cannoncino di Beniamino.
Ci rubano già tanto di quel tempo i sogni - dice.
- Non è vero. I sogni sono i custodi del sonno. Io ho
sognato Jeanne Moreau in Jules e Jim; ricordate? quando
al colmo dell'estro si getta in acqua davanti agli occhi
esterefatti dei suoi innamorati? Soltanto non era lei, ma
loro a saltare in mare. Jeanne restava in bilico sul muretto
di pietra, incerta se seguirli o aspettare il loro inevitabile
ritorno.
- Chi è che ha notizie fresche di Costante?
- Oh si, il saggio Costante. Perchè non è fra noi il
nostro prudente consigliere?
- Si è sposato subito dopo la laurea, non lo sapevi?
- Ma va. E con chi?
- Con una maestra d'asilo.
- Un asilo : proprio quello che ci voleva per lui.
- E stato assunto al Girasole come consulente editoriale.
- E vive sulla Nomentana in una casa con l'orto.
- Durante la settimana girasoli e la domenica radicchio e nasturzi.
- Proprio cosi.
Il fumo continua a girare di bocca in bocca mentre
bilanciandosi sui talloni Fausto sguscia il violino del suo
astuccio e comincia a privare le corde della loro stonata
rilassatezza. Speriamo che non scelga uno di quei malinconici
madrigali che, insieme collerba e la birra, mi
farebbero ingorgare nelle vene ciò che già non scorre
limpido per suo conto. Nette e squillanti echeggiano per
fortuna le note di una famosa ciaccona per violino solo.
- Il Girasole ha deciso di stampare il mio libro -
mormora Eugenio con un fil di voce.
Una acuminata stecca inarca repentinamente la melodia di Fausto.
- E ce lo dici solo adesso?
- Non mi lasciavate parlare.
- Evviva! - grida per tutti Beniamino facendo
schizzare verso il cielo uno spruzzo schiumoso di birra.
- Scacco matto! La sua gioia è sincera e cosi lo scoppio
di ilarità che ci travolge tutti.
- Giochiamo alla guerra - propone Fausto raggiante.
- Si, si, la guerra delle citazioni.
- Comincia tu.
- No tu.
- Comincia Eugenio; gli spetta di diritto, mi pare.
- E va bene.
Eugenio si toglie gli occhiali; li ripone ordinatamente
nella custodia, ma un risolino sbarazzino che
avevo mai visto. prima si leva dal fondo delle pupille
azzurre a smentire la gravità dei suoi gesti.
- Laisse là ces parfums! - comincia - ne sais-tu que
je les hais, nourrice...
- et veux-tu que je sente leur ivresse noyer ma tete
languissante?
- Et le soir,aux rayons de lune, qui lui font aux
contours du cul des bavures dc lumière...
Cul, cul... e questo che c'entra?
- C'entra, centra. Basta che tu lo sappia centrare,
naturalmente.
Spero che il mio viso resti com'e, piatto e inespressivo.
Sono la spugna del Gamelino, io; assorbo 1'impossibile,
ma basta strizzarmi ed eccomi di nuovo soffice e vuota.
- Qucsta non è una citazione. Non vale, non vale.
Squalificato.
- E tu? non giochi tu?
- Non so - mi schermisco. - Non ho memoria, io.
- Dai, non far la vezzosa. Chi ci crede intanto?
- Ah la femme - si mette a imitare Fausto la mia
voce accompagnandosi con una svirgolata di violino. -
La femme ne sait plus meme entre courtisane. Ecco l'unico
Rimbaud che t'appartiene. Ah cosa sarebbe la vita senza
di voi?
E così bravo a contraffare i miei toni più flebili che
perfino Loriginale impallidisce di fronte alla copia. E
infatti quando cerco di resistergli: - Noi? ma chi noi,
scusa? - si avventa come un torello che non possa
sottrarsi al piacere di una bella cornata.
- Voi chi? Ma voi estatiche, estetiche, isteriche
madonne streghe del laccio amoroso. Non hai sognato
Jeanne Moreau? Non è con lei che vorresti scambiare i
tuoi abiti?
E come un elastico Fausto fra noi : se lo tiri troppo
rimbalza e ti ferisce.
- Non è vero. Ho mentito prima. Jeanne Moreau è
brutta e vecchia; una squallida entraineuse assoldata da
Fassbinder per i suoi sporchi trucchi. Amare vuol dire
uccidere chi s'ama.
- Tralalà, tralalà, tralalà.
- Smettila di imitarmi; smettila o ti spacco il violino
in mille pezzi.
- Lo sai che Natascia Rostova sapeva riconoscere il
colore delle persone? E tu ? Tu che sei la donna del
futuro? Che sai fare tu?
- Nulla - rispondo ormai col pianto nella voce. -
Io sono daltonica. una Natascia daltonica. E lasciatemi in pace.
- Benissimo aggiuge Beniamino con un sospiro.
- Proprio quello che ci vuole un'epoca senza guerra
né pace.
Un altro stillicidio di note dissonanti grattate direttamente
sulle corde dalla lunga unghia Fausto e poi,
all'improvviso: Ma tu sei ancora vergine?
Chiudo gli occhi per un attimo e respiro forte.
Invece Eugenio arrossisce violentemente; si stropiccia
la base del collo e sbriciola nell'aria quello che si raccoglie
sulle dita. Poi mi afferra una mano e mi trascina con dolce
decisione accanto a sè.
- Ora basta. Lasciatela in pace.
- Ah i bei tempi di Nush, di Gala - insiste Fausto.
- Dove sono le divine amanti di un tempo? Le licenziose
poupées di tutti e di nessuno?
- Smettila Fausto.
- Dove sono ahimè i poeti di un tempo?
- Prendi il tuo violino e vattene. Non voglio più
vederti. Ma Fausto non si fa pregare e lentamente canticchiando:
- Ho capito, signor si! Chino il capo e me ne
vo; già che piace a voi cosi, altre repliche non fo - si
allontana e un attimo solo prima di sparire dietro la fitta
cortina di macchine parcheggiate all'Università ci mostra
di nuovo la lingua.
- Tralalà, tralalà, tralalà.
Con il capo nascosto nell'incavo dell'ascella di Eugenio,
rispecchiandomi ogni tanto nel suo occhio appena un
po appannato mi godo gli ultimi sprazzi del nostro spino di
muschio. Il glubilo tra noi si è spento preciso e
inspiegabile come era cominciato.
- Era questa allora la sorpresa? - sussurro abbandonandomi
a questa nuova promessa di bonaccia.
- No. Stamattina pensavo a altro.
- A cosa?
- Fra otto giorni è il tuo compleanno. Cosa vuoi fare?
- E tu?
- Vediamoci al Gamelino. Io e te da soli. Vuoi?
Annuisco in silenzio e mi assopisco sulla spalla di
Eugenio piena di vergogna per aver dubitato di lui. Quel
giorno sarà lei a dipanare i fili dell'enigma che
periodicamente riaccende la mia speranza di raggiungere
le Indie. Io non dovrò far altro che evitare di macerarmi
inutilmente nel travaglio di una qualsiasi identità. Per ora
sono soltanto una pianticella, ricca di umori e spinosa
quanto basta. E domani, domani si vedrà.
(da 19 Racconti per Rinascita - ed. L'Unità)